L’Europa tra federalismo e nazionalismi
di Alberto Martinelli (Vice-Presidente di Science for Peace)
Il 15 e il 16 di novembre si svolgerà a Milano, all’Università Bocconi, la Quinta Conferenza mondiale di Science for Peace che ha per titolo DNA Europa*. Al centro della Conferenza vi è infatti il rilancio del processo di costruzione dell’Europa federale, un grande progetto politico e culturale che è oggi messo a rischio dalla crisi economica e dal riemergere di movimenti nazional-populisti intolleranti e autoritari.
Nella mia lectio introduttiva svilupperò il tema dell’Unione Europea tra federalismo e nazionalismi che ho trattato ampiamente nel libro Mal di nazione. Contro la deriva populista, appena pubblicato da Università Bocconi Editore.
Nella storia dei paesi europei il nazionalismo ha svolto un ruolo fondamentale e assai controverso. Da un lato, è stato l’ideologia che ha legittimato la formazione dei moderni stati nazionali, suscitando forti sentimenti di identità e di appartenenza; dall’altro, ha alimentato pregiudizio, intolleranza e guerre. La comunità europea Alla fine della seconda guerra mondiale lo scopo principale della creazione della comunità europea è stato proprio quello di porre definitivamente termine alle ‘guerre civili’ che avevano piagato il continente per secoli.
Oggi, le questioni della nazione e del nazionalismo sono ritornate alla ribalta per diverse cause e con nuove forme. Nel mondo post-bipolare, sorto dopo l’implosione dell’URSS e la fine della guerra fredda, assistiamo al riemergere di antichi conflitti nazionali ed etnici tra i popoli europei. L’ interdipendenza globale e la diversità culturale erodono la sovranità degli stati nazionali, rendendo il nazionalismo una ideologia obsoleta, ma al tempo stesso lo rigenerano perché suscitano reazioni identitarie e chiusure lòocalistiche (dove la società fallisce la nazione riemerge). La crisi economica, finanziaria e sociale alimenta insicurezza e paura e crea un terreno favorevole a una rinazionalizzazione che ostacola il cammino verso una più compiuta integrazione politica dell’Europa. Assistiamo al diffondersi di movimenti e partiti neo-nazionalisti, e all’emergere di leader demagogici che trovano nelle istituzioni della Unioni Europea un facile capro espiatorio della crisi e sostengono la falsa tesi che ogni stato nazionale possa da solo uscire dalla crisi, mentre è vero il contrario e cioè che gli stati membri della UE possono risolvere la crisi solo collaborando alla realizzazione di un unico progetto politico condiviso. La minaccia che rappresentano questi movimenti si può depotenziare e si deve contrastare sviluppando i molti buoni argomenti a favore della continuazione e accelerazione del processo di integrazione politica europea. Due argomenti a mero titolo di esempio. Va chiarito che, al di là del giudizio che si possa dare sulla opportunità della creazione della moneta unica, l’uscita oggi dall’euro comporterebbe costi gravissimi per il nostro paese, come una forte svalutazione e conseguente forte aumento del debito pubblico (che continuerebbe ad essere espresso in euro) e una inflazione che penalizzerebbe in primo luogo i percettori di reddito fisso, lavoratori dipendenti e pensionati. Va anche chiarito che più Europa significa meno tasse, dal momento che le sensibili riduzioni della spesa pubblica conseguenti alla messa in comune di politiche pubbliche oggi frammentate in 28 stati membri a cominciare dalla spesa militare, consentirebbero tagli fiscali.
Ma oltre a sviluppare argomenti a favore di una maggiore integrazione bisogna anche indicare le tappe di un percorso verso l’unione federale europea, distinguendo ciò che si può fare subito senza alcuna modifica o forzatura dei trattati vigenti e ciò che si potrà fare mediante una riforma della legge fondamentale sulla linea del Progetto del Gruppo Spinelli.
E’ possibile adesso che: a) ogni federazione europea di partiti presenti alle prossime elezioni per il Parlamento europeo un proprio candidato alla presidenza della Commissione, con un organico programma di governo di legislatura; b) che Il Parlamento europeo che nascerà con le elezioni del 2014 abbia un esplicito ruolo costituente così da elaborare, mediante una apposita Convenzione, una proposta organica di modifica dei Trattati per definire una nuova legge fondamentale europea da approvare a maggioranza.
Le più importanti modifiche auspicabili di tale riforma sono:
1.Il Presidente della Commissione diventa il capo del governo europeo, sceglie i propri ministri, tra cui il ministro degli Esteri e il ministro del Tesoro, e risponde alle due camere del Parlamento europeo.
2.L’attuale Parlamento europeo si trasforma in Camera dei rappresentanti , eletti secondo criteri di proporzionalità da tutti i cittadini europei in base a una stessa legge elettorale, con maggiori poteri legislativi e di controllo.
3.L’attuale Consiglio dei ministri si trasforma in Senato, formato da rappresentanti degli stati membri secondo criteri di proporzionalità ponderata, il Presidente del Senato è Vice-presidente dell’Unione.
4.Il governo dell’Unione ha competenze esclusive nella politica economica e nella politica estera.
5.Viene istituito l’esercito unico europeo che sostituisce gli eserciti nazionali degli stati membri.
6.Gli stati membri continuano ad avere la responsabilità delle politiche sociali, rispettando standard minimi garantiti secondo la clausola sociale orizzontale.
7.Viene costruito un bilancio autonomo dell’Unione con risorse fiscali proprie (come la tassa sulle transazioni finanziarie e la carbon tax), che sostituiranno in parte le entrate fiscali degli stati membri (non si aggiungeranno ad esse).
8.La Banca centrale europea acquisisce tutti i poteri delle altre banche centrali.
Va anche chiarito che, qualora questo percorso non venga approvato da tutti gli stati membri, potrà procedere per una parte di essi (quelli già appartenenti alla Eurozona) con il metodo delle cooperazioni rafforzate.
*La partecipazione è gratuita, previa iscrizione sul sito www.scienceforpeace.it, oppure telefonando allo 02 76018187