Brevi note su Fed e Bce
di Giacomo Mazzei (1)
Abstract
Da più parti, in questi anni di crisi economico-finanziaria, si è levata la voce secondo cui la Bce “dovrebbe fare come la Fed”, servire cioè da “prestatore d’ultima istanza” nell’eurozona. Con ciò s’intende in genere che dovrebbe garantire la solvibilità degli stati membri a rischio default, acquistandone titoli del debito pubblico in misura virtualmente illimitata. In realtà, negli Stati Uniti, la Fed non solo non è autorizzata a prestare ai singoli stati, ma, a rigore, non è neppure obbligata ad acquistare titoli federali, benché lo faccia in maniera ben più cospicua di quanto avvenga nel caso della Bce e degli stati dell’eurozona (salvo da parte della Bce finanziare massicciamente gli istituti di credito privati).
Le due banche centrali sono diversamente congegnate, operano in base a ordinamenti non omogenei e, quindi, di non facile trasposizione, all’interno di contesti istituzionali il cui grado di consolidamento non è paragonabile. È necessario pertanto precisare i termini della questione, da un punto di vista sia tecnico che storico. In ultima analisi, si manifesta l’esigenza di una maggiore integrazione e democratizzazione del progetto europeo, compresa la stessa Bce ma non solo. È forse sotto questo profilo che il sistema americano può fungere da modello e offrire gli spunti più stimolanti, pur da valutare con la cautela che è dovuta nelle riflessioni in chiave comparativa. A titolo di esempio, solo la Fed è tenuta, per statuto, a sostenere l’occupazione, non la Bce.
Le presenti note comprendono una sintesi sull’organizzazione e sul funzionamento di Fed e Bce, con richiami all’ormai secolare storia della prima e a quella, assai più breve, della seconda, che si trova in una fase ancora per molti versi sperimentale. Seguono poi uno schema di confronto tra le due esperienze e una bibliografia di testi on-line.
L’instabilità finanziaria e la recessione economica degli ultimi anni hanno visto una forte assunzione di responsabilità da parte delle banche centrali, tra cui spiccano la Federal Reserve americana, anche nota come Fed, e la Bce, la Banca centrale europea, entrambe operanti in aree geografiche tra le più duramente colpite. La Bce è stata protagonista di primo piano nelle alterne vicende che hanno segnato l’azione di contenimento della crisi di liquidità delle banche e del debito sovrano nell’eurozona, ed è stata inoltre oggetto del dibattito sul riassetto delle istituzioni europee che lo stesso dissesto dei conti ha alimentato. La Fed svolge da tempo un ruolo di estrema importanza negli affari americani, non da ultimo nel corso dei recenti rovesci, e rappresenta ovviamente un termine di paragone ineludibile nell’ambito del suddetto dibattito. Un paio di considerazioni generali su di essa e sull’esportabilità del modello americano credo siano opportune in apertura.
Vale la pena di rilevare prima di tutto un dato di fatto sostanziale e cioè che la Fed è un’agenzia governativa, organizzata in modo conforme, seppur non perfettamente speculare, all’ordinamento federale degli Stati Uniti. Essa gode di ampia autonomia decisionale, ma è dipendente per la propria esistenza e organizzazione dai principali organi rappresentativi e di governo dell’Unione. A questi ultimi si devono in origine la creazione della banca centrale e, successivamente, rilevanti trasformazioni sia organizzative, sia nei rapporti che essa intrattiene con le altre istituzioni federali, con gli stati membri e i privati. Come il federalismo negli Stati Uniti è stato, storicamente, un fenomeno in costante evoluzione, così la Fed ha conosciuto più di una configurazione istituzionale, ognuna delle quali va intesa all’interno del peculiare contesto americano. Fatte queste premesse, prendiamo in esame gli aspetti salienti, organizzativi e decisionali, della banca.(2)
Al suo vertice si trova un direttorio (Board of Governors), alle cui dipendenze operano dodici filiali, le quali suddividono il territorio nazionale in altrettanti distretti.2 Il direttorio, che consta di sette membri, compreso il presidente della banca, stabilisce il tasso ufficiale di sconto ed esercita funzioni di sorveglianza e regolamentazione del sistema bancario, tra cui l’accantonamento delle riserve minime obbligatorie da parte degli istituti di credito. L’altro principale organo decisorio della banca è il Federal Open Market Committee (Fomc), responsabile per le operazioni di mercato, ovverosia l’acquisto e la vendita di titoli pubblici, obbligazioni del Tesoro o di agenzie governative, sul mercato secondario, la cui conduzione è però delegata alla Federal Reserve Bank of New York.3 Vi sono dodici seggi nel Fomc, sette dei quali occupati in modo permanente dai membri del direttorio, con il presidente della Fed che presiede anche il Fomc, più, sempre a titolo permanente, il presidente della filiale newyorkese, che ne è vicepresidente. I restanti quattro spettano a rotazione ai presidenti delle altre undici filiali. Oltre a prendere parte ai lavori del Fomc tramite i propri rappresentanti, le filiali svolgono attività di ricerca economica, implementano le direttive sulla concessione di sconto provenienti dal vertice della banca e gestiscono le operazioni di circolante.
Per quanto riguarda l’autorità della Fed, occorre prendere nota di un suo importante limite, in riferimento alla gestione finanziaria dei singoli stati dell’Unione, un tema di sicuro interesse per i riformatori europei. La Fed, infatti, opera regolarmente in titoli obbligazionari del governo federale ma non degli stati, i quali, da questo punto di vista, sono entità sovrane a tutti gli effetti. Ogni stato è libero di gestire autonomamente i rapporti con i propri creditori, compresa la rinegoziazione del debito. In caso di default, non vi è alcun obbligo di salvataggio da parte del governo federale, né tantomeno della Fed, una cui azione in tal senso è inconcepibile nel quadro istituzionale americano. Nell’unico precedente storico di rilievo, il default dell’Arkansas nel 1933, ai tempi della Grande Depressione, la Fed fu attiva solo indirettamente, nella misura in cui le politiche monetarie adottate dalla banca centrale sostennero l’intervento, peraltro contenuto, del governo federale, che garantì per un paio d’anni il funzionamento minimo dei servizi pubblici essenziali in Arkansas, ma non salvò lo stato da una lunga stagnazione economica nei decenni successivi. Più di recente, a fronte del grave dissesto che la crisi ha provocato nei conti di alcuni importanti stati americani, quali California e Illinois, si è discusso di un possibile nuovo intervento governativo, che sarebbe probabilmente più esteso di quello approntato per l’Arkansas negli anni Trenta del secolo scorso, ma un coinvolgimento diretto della Fed, vale a dire in qualità di prestatore d’ultima istanza dei governi statali, non è stato contemplato affatto.(5)
Quanto all’indipendenza della Fed, essa è formalmente garantita nelle decisioni di politica monetaria, che non necessitano di ratifica alcuna, né da parte dell’esecutivo, né del legislativo. Tuttavia, sia il presidente che il Senato degli Stati Uniti indirizzano le politiche della Fed quantomeno indirettamente, attraverso il processo di nomina dei suoi vertici, di cui essi sono titolari. Il primo propone e il secondo conferma le nomine dei membri del direttorio della Fed e del suo presidente, che hanno cariche di quattordici e quattro anni rispettivamente.(6) Inoltre, il Senato e la Camera dei Rappresentanti sorvegliano entrambi le attività della Fed. Un organismo alle dipendenze del Congresso, il Government Accountability Office, conduce regolari audizioni del presidente, degli altri membri del direttorio e dei funzionari delle filiali della Fed, e così fanno le commissioni parlamentari, che ricevono altresì rapporti periodici dalla banca. Quest’ultima, infine, condivide diverse delle proprie funzioni di sorveglianza e regolamentazione con le altre agenzie federali competenti ed è pertanto parte integrante della macchina di governo.
D’altro canto, c’è da notare come la Fed vanti un solido radicamento nei gangli della finanza privata, e come ciò rappresenti chiaramente un contraltare all’influenza governativa. Il quaranta per cento circa delle banche commerciali del paese, in quanto azioniste, detengono il potere di nomina dei due terzi del consiglio d’amministrazione di ciascuna delle dodici filiali della Fed, mentre solo il restante terzo è scelto dal direttorio di Washington. I presidenti di filiale sono nominati dai rispettivi consigli d’amministrazione, sebbene la loro nomina necessiti della conferma da parte del direttorio della banca centrale.
Approfondiamo ora il tema dei rapporti tra Fed e autorità di governo in prospettiva storica, notando, per cominciare, come l’istituzione di una banca centrale non sia esplicitamente prevista dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America. La Fed è infatti un prodotto del processo legislativo ordinario e, per questo, rimase a lungo sottoposta al governo federale. Fu fondata esattamente un secolo fa, nel 1913, dunque in epoca di molto posteriore alla stesura della carta costituzionale, grazie al Federal Reserve Act, una delle più importanti riforme istituzionali tra le varie introdotte nel paese ai primi del Novecento.(7) La Fed fu poi riorganizzata, come gran parte dell’apparato di governo, durante il New Deal. Il riformismo rooseveltiano contribuì in misura notevole a ribaltare la fallimentare politica monetaria inizialmente adottata dalla banca centrale in risposta alla Grande Depressione e segnata, in particolare, da disastrose strette creditizie e da una scarsa attività sul mercato dei titoli pubblici, a loro volta dovute in parte, o comunque aggravate, da una paralizzante assenza di coesione tra il direttorio della banca e le filiali, originariamente piuttosto indipendenti.(8) L’Emergency Banking Act del 1933, emendamenti introdotti nel 1934 al Federal Reserve Act e il Banking Act del 1935 potenziarono le capacità di prestito e le funzioni di sorveglianza della Fed e ne centralizzarono il meccanismo decisionale, ampliando l’autorità degli uffici di Washington sulle filiali e istituendo il Fomc. (9)
Ciò non coincise però con l’immediata diminuzione dell’influenza governativa sulla Fed, che per tutta la fase iniziale della sua storia, dalla fondazione agli anni Cinquanta, operò sotto l’egida del Dipartimento del Tesoro, a cui, tra l’altro, fino alla metà degli anni Trenta era riservata la presidenza della banca. (10) L’apice di tale influenza si ebbe nel corso della seconda guerra mondiale, con il risultato di un sostegno incondizionato della Fed all’espansione senza precedenti del deficit federale.
Solo nel 1951, allorché uno storico accordo con il Tesoro stabilì una chiara distinzione di competenze sulle politiche monetarie e fiscali, la Fed acquisì maggiore autonomia e, in particolare, fu liberata dall’obbligo di finanziare il deficit federale. Non cessarono, tuttavia, le pressioni esercitate dal potere politico – notevole, ad esempio, fu l’attrito con la Presidenza Johnson alla metà degli anni Sessanta, sempre sul sostegno della banca centrale alla politiche federali di spesa pubblica. Dagli anni Settanta, segnati dalla stagflazione, furono inoltre introdotte altre leggi di riforma della Fed: il Federal Reserve Reform Act del 1977 dettò nuove e più dettagliate linee guida in materia di politica monetaria; il Full Employment and Balanced Growth Act del 1978 stabilì obblighi di trasparenza più stringenti verso il Congresso; il Monetary Control Act del 1980 attuò un ulteriore accentramento amministrativo tra gli uffici centrali e le filiali della banca.(11) Di recente, l’ennesima crisi ha prodotto il Wall Street Reform and Consumer Protection Act del 2010 (noto alle cronache come Dodd-Frank, dal nome dei primi firmatari della legge in Congresso, Chris Dodd e Barney Frank), che, tra l’altro, è intervenuto nuovamente sul nodo della trasparenza e ha ristretto l’autorità della Fed sui prestiti ai privati, sottoponendola all’approvazione del Tesoro.
Ciononostante, anche quest’ultimo, al pari degli altri interventi legislativi dal dopoguerra ad oggi, non è stato di grande ostacolo al crescente attivismo della banca centrale americana quale soggetto autonomo, come l’esperienza degli ultimi anni ha ampiamente dimostrato. La Fed ha fronteggiato con autorevolezza la recente crisi, avendo forse sottovalutato i segnali di instabilità economico-finanziaria che l’hanno preceduta, ma facendo tutto sommato tesoro dell’esperienza negativa della Grande Depressione e contribuendo probabilmente ad evitare una ripetizione della stessa, agendo rapidamente, quantomeno dopo l’esplosione della crisi nel settembre 2008, per poi consolidare la propria azione nel periodo successivo.(12) Ha dapprima reagito con una riduzione drastica e senza precedenti del tasso ufficiale di sconto, che nel dicembre di quell’anno è stato fissato (e mantenuto fino ad oggi) nella forchetta compresa tra lo 0 e lo 0.25 per cento, vale a dire al livello più basso mai registrato nella storia del paese. Oltre ad adottare misure emergenziali di credito ai privati, quali il Term Asset-Backed Securities Loan Facility e il Commercial Paper Funding Facility, tra il 2008 e il 2010, ha quindi fatto ricorso a strumenti assolutamente non convenzionali, per iniettare ulteriore liquidità nel sistema e al contempo sostenere le finanze del governo federale (non degli stati, si badi bene).
Emblematiche, sotto quest’ultimo profilo, sono state le tre manovre denominate Large Scale Asset Purchase, note ai più come Quantitative Easing, la prima delle quali è stata iniziata nel marzo 2009, mentre l’ultima non si è ancora conclusa.(13) Con esse, si è proceduto all’acquisto su larga scala di titoli del Tesoro e di azioni e obbligazioni di agenzie governative garantite da mutui immobiliari. Il carattere non convenzionale di tali misure, tuttavia, non ha riguardato solamente il volume, ma anche la tipologia degli acquisti, in particolare per quanto riguarda i titoli del Tesoro. Solitamente la Fed tratta titoli del Tesoro a breve scadenza, più duttili, e quindi più rilevanti ai fini di un’efficace politica monetaria, di quelli a lunga scadenza. Tuttavia, a causa del virtuale azzeramento del tasso ufficiale di sconto, gli effetti sui rendimenti dei titoli a breve sono stati talmente depressivi da rendere scarsamente praticabile qualsiasi ulteriore intervento espansivo in quest’area. La Fed ha quindi considerevolmente ampliato gli acquisti di titoli a lunga scadenza, per abbassare i rendimenti pure di questi ultimi.
Infine, sempre allo scopo di incrementare il livello di liquidità del sistema attraverso l’acquisto di titoli del Tesoro a lunga scadenza, ma questa volta minimizzando l’impatto sui conti pubblici e su quelli della stessa banca centrale, alle suddette manovre di Quantitative Easing si è aggiunta, tra il settembre 2011 e la fine del 2012, la cosiddetta Operation Twist (tecnicamente, Maturity Extension Program). La Fed ha così operato una “sterilizzazione” degli acquisti, cioè ha contemporaneamente venduto una quantità di titoli a breve pari a quella dei titoli a lunga scadenza incamerati, per ridurre i primi rispetto ai secondi e quindi piegare (twist) la curva dei rendimenti, senza però intaccare il proprio bilancio o incrementare il deficit federale.(14)
Ciò detto, passiamo ad occuparci della nostra Bce, di cui pure tratteggeremo gli aspetti salienti, abbozzando al contempo un confronto con la Fed, che successivamente presenteremo in forma schematica. La Banca centrale europea è posizionata al vertice del sistema bancario dell’eurozona, al cui interno è responsabile unica della politica monetaria, ossia di tutte le decisioni concernenti i tassi d’interesse e i bilanci delle banche centrali nazionali. La Bce stabilisce il tasso ufficiale e la consistenza delle riserve minime obbligatorie accantonate dai privati; sorveglia inoltre il livello di liquidità del sistema, pur non garantendone in termini assoluti la solvibilità. Secondo il Trattato di Maastricht, firmato nel 1992 ed entrato in vigore l’anno seguente – al quale risale la scelta di procedere verso l’unione monetaria europea e di dotarla di una base istituzionale forte, cioè di una banca centrale, poi effettivamente istituita nel 1998 – il compito primario della Bce è infatti rappresentato dal perseguimento della stabilità dei prezzi.
E qui veniamo subito a un tema chiave del dibattito sulla crisi in Europa, quello del prestito d’ultima istanza, che le banche centrali erogano principalmente ai privati, ma la cui estensione ai governi degli stati membri dell’eurozona, da parte della Bce, è stata a più riprese invocata. E la si è spesso invocata facendo riferimento all’esempio d’oltreoceano, dove la Fed, oltre a soccorrere gli istituti di credito in difficoltà, come fa anche la Bce (da questo punto di vista non c’è differenza tra le due banche), ha acquistato ingenti quantità di titoli pubblici. A questo proposito, occorre chiarire che, sebbene entrambe siano dotate di risorse potenzialmente illimitate, data la loro capacità di creare liquidità, sia la Fed, sia la Bce non hanno, almeno in linea di principio, alcun obbligo ad acquistare titoli pubblici, né quelli emessi dai governi federali (sempre che nell’Unione Europea ne esista uno), né dai singoli stati membri. Un simile obbligo implicherebbe infatti una forma di subordinazione della banca centrale al potere politico, che l’esperienza storica ha chiaramente dimostrato essere foriera di eccessivi disavanzi pubblici e annessi rischi inflazionistici, e che, di conseguenza, è da tempo caduta in disuso. Vero è che, per tutto ciò che attiene alle delicate funzioni di prestato nei confronti dei governi, i meccanismi di funzionamento di Fed e Bce sono tra loro piuttosto diversi, come lo sono i contesti istituzionali in cui esse operano e, in ultima analisi, l’efficacia delle rispettive capacità d’intervento. Vediamo perché.
Come già ricordato, la Fed non è più obbligata ad acquistare titoli pubblici da oltre mezzo secolo: dall’accordo con il Dipartimento del Tesoro risalente al 1951. Inoltre, come pure si è detto, negli Stati Uniti la banca centrale tratta i titoli obbligazionari del governo federale, ma non quelli dei singoli governi statali. La Bce, invece, in assenza di titoli “federali” europei, ha unicamente la possibilità di trattare quelli degli stati membri dell’eurozona, sebbene i trattati le vietino esplicitamente di finanziarne il debito pubblico. In realtà, la Bce acquista lo stesso titoli pubblici, ma lo fa entro certi limiti.
Lo ha fatto in uno dei momenti più caldi della crisi, tra il 2010 e il 2012, attraverso uno strumento di carattere temporaneo e dimensioni relativamente contenute, quale il Securities Market Program, e potrebbe nuovamente attuare operazioni di questo tipo in futuro per mezzo delle Outright Monetary Transactions, di recente adozione e ben più ampia portata. Questo secondo strumento sembra avere tutti i presupposti di un programma permanente, o perlomeno di lunga durata, gode di una dotazione potenzialmente illimitata di fondi, e inoltre la sua applicazione è condizionata all’impegno, da parte dei paesi beneficiari, ad intraprendere un percorso di risanamento macroeconomico con l’aiuto del cosiddetto “fondo salva-stati” (European Stability Mechanism). Proprio per questo, sebbene esse non siano state ancora utilizzate, le Outright Monetary Transactions hanno già avuto l’effetto desiderato di calmiere del rendimento dei titoli pubblici nei paesi dell’eurozona in maggiore difficoltà, limitando le ondate speculative.(15)
Tuttavia, anche gli strumenti più incisivi a disposizione della Bce, come le Outright Monetary Transactions, appaiano limitati, se paragonati alle manovre recentemente messe in campo dalla Fed. A prescindere dal discorso sulla condizionalità appena ricordato, che pure ha meriti indubbi e però non ha eguali negli Stati Uniti, dove la banca centrale non necessita di garanzie simili per procedere all’acquisto di titoli pubblici, vi sono almeno un paio di altri aspetti tecnici da ricordare. Ad esempio, le Outright Monetary Transactions della Bce, come del resto il Securities Market Program in precedenza, prevedono la sterilizzazione automatica delle operazioni di acquisto di titoli pubblici, ossia il ritiro di una quantità equivalente di moneta dal mercato, per mezzo di depositi che le banche commerciali effettuano presso la Bce stessa. Operation Twist a parte, la Fed non ha avuto bisogno di porre limiti di questo tipo alle proprie manovre di Quantitative Easing. Inoltre, se la Bce, come la Fed, opera esclusivamente sul mercato secondario dei titoli pubblici, essa gode di minore discrezionalità anche in questo campo. In particolare, è previsto che le Outright Monetary Transactions riguardino solo i titoli a breve scadenza, comunque non superiore ai tre anni, mentre, come abbiamo visto, non esiste alcun limite al riguardo nel sistema americano.(16)
Ma soprattutto – ed è questa una differenza davvero sostanziale dal sistema americano – l’operato della Bce è condizionato dall’assenza in Europa di una controparte politica pari a quella che la Fed trova nel Congresso e nello stesso Dipartimento del Tesoro, capaci di interventi su scala continentale, all’occorrenza fortemente espansivi.(17) L’insufficienza delle politiche economiche dell’Unione Europea, con il prevalere al suo interno del metodo intergovernativo, ha significato l’imposizione di misure principalmente atte a moderare il differenziale tra gli indicatori macroeconomici dei vari stati membri. In un tale contesto, la Bce si è spesso trovata nello scomodo ruolo di sentinella dell’austerità, accusata di frapporre
ostacoli alla crescita, l’altro corno della crisi assieme alla stabilità dei conti. Il punto essenziale è però che le autorità di governo, sia a livello nazionale che sovranazionale, hanno faticato, forse per scarsa volontà politica, ma in maniera particolare a causa dei limiti strutturali dovuti ai ritardi nell’integrazione europea, a fare la propria parte.
In seguito alla crisi, c’è sempre più consapevolezza tra gli europei dell’urgenza di superare tali ritardi con progressi verso un’unione bancaria e fiscale, attuando un passaggio di responsabilità dalle istituzioni nazionali a quelle intergovernative e sovranazionali. Si tratta dei complementi necessari all’unione monetaria, al qual proposito vanno registrati alcuni importanti passi compiuti di recente. È stato da poco approvato il Single Supervisory Mechanism, uno strumento centralizzato di supervisione del sistema bancario per tutta l’eurozona, che entrerà a regime nel 2014 e avrà proprio nella Bce il suo centro operativo (seppur in stretta collaborazione con i supervisori nazionali, finora unici responsabili all’interno dei rispettivi confini). È inoltre in via di definizione il Single Resolution Mechanism, un sistema, appunto, di “risoluzione” delle crisi bancarie cioè di ricapitalizzazione delle banche con i conti pericolosamente in rosso.(18)
Esso prevede il bail-in ovverosia l’assorbimento delle perdite da parte delle stesse (da distribuire tra azionisti, obbligazionisti e titolari di depositi al di sopra di una certa soglia), ma anche il coinvolgimento di risorse nazionali e di altrettante provenienti dal fondo salva-stati.(19) La Bce è probabilmente destinata a decidere la quantità di risorse necessarie a ciascuna ricapitalizzazione. Non è tuttavia previsto che condizioni le scelte dei governi nazionali, o che eserciti funzioni più che consultive nell’ambito del fondo salva-stati, che resta un’istituzione a carattere intergovernativo.(20)
Sempre al fine di delineare gli effettivi poteri della Banca centrale europea, e abbozzarne un confronto con il corrispettivo americano, è opportuno evidenziare un altro aspetto tecnico non secondario, che riguarda il mandato stesso della Bce. Il Trattato di Maastricht le impone di sostenere le politiche ufficiali dell’Unione Europea, ma a patto che ciò non interferisca con la stabilità dei prezzi, il cui perseguimento, sempre secondo il Trattato, rimane l’obiettivo predominante della banca. Sotto questo profilo, il campo d’azione della Bce sembra più limitato di quello a disposizione della Fed. Negli Stati Uniti, infatti, la banca centrale, oltre al compito di sorvegliare la stabilità dei prezzi, ha anche quello di promuovere l’occupazione, come, tra l’altro, ha recentemente sottolineato l’attuale presidente della Fed, Ben Bernanke.(21)
Ci sono poi da prendere in considerazione gli aspetti organizzativi del cosiddetto Eurosystem, l’autorità monetaria con a capo la Bce, e i relativi problemi di rappresentanza. In primo luogo, il meccanismo decisionale della Banca centrale europea è accentrato nel consiglio direttivo (Governing Council), che delibera a maggioranza su tutte le materie principali, fra cui quelle concernenti i tassi d’interesse, ed è dominato numericamente dai governatori delle banche centrali dei paesi facenti parte l’eurozona, i quali occupano diciassette dei suoi ventitre seggi. I restanti sei sono riservati al comitato esecutivo (Executive Board), l’altro organo vitale della Bce, formalmente autonomo e composto dal presidente della banca, dal suo vice e da altri quattro membri. Il comitato esecutivo implementa le direttive del consiglio, di cui elabora l’agenda; inoltre, esso invia proprie direttive alle banche centrali nazionali. I suoi membri, con incarico di otto anni non rinnovabile, sono nominati di comune accordo dai capi di stato o di governo dei paesi dell’eurozona, su raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea, un’istituzione intergovernativa, e dopo aver solamente consultato il Parlamento Europeo, l’unico organo democratico dell’Unione, dal quale la Bce è di fatto e di diritto indipendente. La Bce, peraltro, coopera con la Commissione Europea (il commissario per gli affari economici e monetari partecipa alle riunioni del consiglio direttivo della banca), nonché con l’Ecofin e con l’Eurogruppo.
Per quanto riguarda invece la sorveglianza a cui la Bce viene sottoposta, tutte le istituzioni principali dell’Unione ricevono regolarmente rapporti dalla banca centrale, compreso il Parlamento, presso il quale si svolgono audizioni dei vertici della banca. La Bce pubblica inoltre un bollettino mensile, in cui presenta le proprie valutazioni macroeconomiche. Quanto alle operazioni sul mercato aperto, quelle che negli Stati Uniti sono decise dal Fomc della Fed e implementate dalla Federal Reserve Bank of New York, infine, nell’Eurosystem esse sono condotte generalmente a livello decentrato dalle singole banche centrali nazionali, sia pure sotto la direzione della casa madre.
È oggi opinione piuttosto diffusa che l’Unione Europea e con essa l’eurozona, delle quali la Banca centrale europea costituisce una componente fondamentale, soffrano di un deficit democratico, ed è abbastanza chiaro come, da questo punto di vista, il sistema americano offra qualche garanzia in più. La Bce appare meno esposta al pubblico scrutinio e meno permeabile della Fed al controllo da parte delle rappresentanze democraticamente elette. Si è discorso di sorveglianza, una questione di trasparenza e, quindi, di democrazia. A questo proposito, si può aggiungere un dettaglio forse non irrilevante: mentre i lavori del consiglio direttivo e del comitato esecutivo della Bce sono assolutamente riservati, la Fed quantomeno rendi pubblici i verbali delle riunioni del Fomc, attentamente letti dai mercati, che evidentemente li ritengono fedeli agli effettivi intenti della banca centrale americana. (22)
Si è anche visto come la nomina dei vertici della Bce sia appannaggio di istituzioni intergovernative, mentre nel caso della Fed sono il presidente degli Stati Uniti e il Senato ad esercitare tale responsabilità. Vale la pena di sottolineare questa dinamica presidente federale-camera degli stati, a cui vanno ricondotte le nomine della Fed, perché ciò rimanda in realtà a uno dei punti più problematici dell’esperimento europeo. Nel sistema americano – è opportuno aggiungerlo – sono gli esponenti degli stati, cioè i membri del Senato, a condividere il potere di nomina di tutte le cariche di spettanza del governo federale, e non la Camera dei Rappresentanti, omologa del Parlamento europeo. Tuttavia, la rappresentanza degli stati nel Senato è elettiva e non intergovernativa, come avviene nell’Unione europea, e d’altronde il presidente degli Stati Uniti ha una legittimazione democratica di gran lunga superiore a quella del presidente della Commissione Europea, su cui, peraltro, fervono oggi innovative proposte.
A tutto ciò sia aggiunga poi la relativa opacità in cui, per la verità, opera la Banca centrale europea, almeno nella misura in cui la continua negoziazione dei diversi interessi nazionali e le lunghe procedure delle burocrazie europee tendono a generare una mole di leggi e direttive di difficile lettura da parte di un pubblico medio. Vi sono dubbi, in effetti, sulla piena legittimità democratica delle iniziative di regolamentazione del sistema bancario europeo e degli interventi diretti delle agenzie responsabili, compresi quelli previsti dal Single Resolution Mechanism di fresca istituzione. Infine, sono da considerarsi le difficoltà da
1 La rilevanza di quest’ultimo dettaglio è del resto confermata da una recentissima presa di posizione da parte del presidente della Bce, che si è dichiarato a favore della pubblicazione dei verbali del consiglio direttivo della banca. Draghi ha inoltre informato la stampa che presto il comitato esecutivo sottoporrà un proposta in tal senso all’attenzione del consiglio direttivo.
affrontare per intraprendere una qualsiasi riforma strutturale della Bce e dell’intera unione economico-monetaria. Ciò è possibile solo attraverso una revisione dei trattati, che richiede la ratifica di tutti gli stati membri. Anche in questo caso vanno notate le differenze con la situazione d’oltreoceano, dove, da quando la Fed fu istituita nel 1913, diverse sono state le riforme introdotte semplicemente per mezzo della legislazione ordinaria.
Su di un punto, cioè per quanto riguarda la rappresentanza degli interessi della finanza privata ai vertici della banca centrale, la Bce probabilmente offre maggiori garanzie di democraticità della Fed, anche se forse a scapito della propria indipendenza. Come si è detto, tali interessi sono ampiamente rappresentati nella Fed, in particolare attraverso la presenza nel Fomc dei presidenti delle filiali, espressione principalmente di banche commerciali, che sono a loro volta detentrici delle azioni della Fed stessa. Nella Bce ciò avviene in misura ben più limitata e indiretta, per effetto della partecipazione dei privati all’azionariato di alcune delle banche centrali nazionali, ad esempio Bankitalia, ma la maggior parte di esse sono di proprietà pubblica. Come a dire che, sebbene il sistema americano possa considerarsi tutto sommato più democratico, quello europeo ha margini più ampi di miglioramento in questo senso, a patto però che in Europa si proceda senza ulteriori indugi sulla via dell’integrazione, soprattutto dal punto di vista politico.
Schema di confronto
Per un confronto sommario delle due esperienze appena illustrate, presentiamo di seguito uno schema dei principali tratti comuni e delle differenze tra Fed e Bce, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra autorità monetarie e istituzioni governative, nonché sul mandato delle due istituzioni bancarie. All’ultimo punto della lista esprimiamo un giudizio di valore:
Compravendita di titoli del debito federale: Fed
Compravendita di titoli del debito degli stati: Bce
Compravendita di titoli pubblici a breve scadenza: Fed – Bce
Compravendita di titoli pubblici a lunga scadenza: Fed
Direttorio di nomina federale: Fed
Consiglio direttivo di nomina statale/intergovernativa: Bce
Fomc di nomina federale/privata: Fed
Comitato esecutivo di nomina intergovernativa: Bce
Controllo dell’inflazione: Fed – Bce
Garanzia di stabilità dei tassi d’interesse a lungo termine: Fed – Bce
Lotta alla disoccupazione: Fed
Democraticità/trasparenza: Fed > Bce
Bibliografia
A conclusione di questo breve excursus, riportiamo di seguito una serie di indicazioni bibliografiche, suddivise in sezioni tematiche, da intendersi come una sorta di “guida ai naviganti” di Internet che vogliano velocemente approfondire la conoscenza degli argomenti sin qui visti. Si tratta di testi in lingua inglese, tutti pubblicati on-line da fonti attendibili, istituzionali e non – molti di essi, ad esempio, sono il frutto dell’attività di ricerca condotta presso le filiali della Fed. Vengono citati lavori di sintesi e altri su particolari aspetti tecnici, che forniscono le informazioni essenziali sul funzionamento delle due banche centrali. Vengono citati anche alcuni interventi specificatamente sulla questione dell’indipendenza della banca centrale dal governo federale americano, recentemente dibattuta da studiosi e tecnici della materia. Mentre la crisi del debito sovrano colpiva l’eurozona, investendo di
speciali responsabilità la Bce e sottoponendola al vaglio dell’opinione pubblica, la Fed, per il ruolo di spicco avuto negli Stati Uniti nel corso degli stessi anni, è stata infatti al centro di una discussione altrettanto serrata, che si è però svolta soprattutto in ambienti accademici e all’interno del mondo bancario. Sempre per quanto riguarda la Fed, citiamo inoltre alcuni brevi saggi storici, che mettono in luce i passaggi di maggior rilievo nell’ormai secolare vicenda della banca centrale americana. Infine, l’ultima sezione è dedicata a studi in chiave comparativa e sul contesto internazionale, in particolare, sebbene non se ne faccia menzione nel testo, sulle forme di cooperazione tra Fed e la Bce durante la crisi. Il lettore che vorrà procedere alla consultazione dei testi citati nelle diverse sezioni della bibliografia vi troverà una ricca messe di dati statistici e avrà altresì modo di riscontrare una certa pluralità di opinioni.
Sull’organizzazione e sul funzionamento della Fed:
Boards of Governors of the Federal Reserve, The Federal Reserve System: Purposes and Functions, U.S. Federal Reserve System, Washington, D.C., 2005, http://www.federalreserve.gov/pf/pdf/pf_complete.pdf;
Stefania D’Amico, William English, David López-Salido e Edward Nelson, The Federal Reserve’s Large-Scale Asset Purchase Programs: Rationale and Effects, Federal Reserve Board, Divisions of Research & Statistics and Monetary Affairs, 31 ottobre 2012, http://www.federalreserve.gov/pubs/feds/2012/201285/201285pap.pdf;
Marc Labonte, Federal Reserve: Oversight and Disclosure Issues, Congressional Research Service, 3 agosto 2012, http://www.fas.org/sgp/crs/misc/R42079.pdf;
id., Monetary Policy and the Federal Reserve: Current Policy and Conditions, Congressional Research Service, 12 febbraio 2013, https://www.fas.org/sgp/crs/misc/R42079.pdf;
id., Federal Reserve: Unconventional Monetary Policy Options, Congressional Research Service, 19 febbraio 2013, http://www.fas.org/sgp/crs/misc/R42079.pdf.
Pauline Smale, Structure and Functions of the Federal Reserve System, Congressional Research Service, 10 novembre 2010, https://www.fas.org/sgp/crs/misc/RS20826.pdf;
Sulla Bce:
Council of the European Union, Council Agrees Position on Bank Resolution, Council of the European Union Press Release, 27 giugno 2013, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/136627.pdf.
Council of the European Union, Bank supervision: Council Confirms Agreement with EP, Press Release, 18 aprile 2013, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/136846.pdf.
Eurogroup, ESM Direct Bank Recapitalisation Instrument, Statement, 20 giugno 2013, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/ecofin/137569.pdf.
European Central Bank, Technical Features of Outright Monetary Transactions, Press Release, 6 settembre 2012, http://www.ecb.int/press/pr/date/2012/html/pr120906_1.en.html;
European Central Bank, The European Stability Mechanism, Monthly Bulletin, luglio 2011, www.ecb.europa.eu/pub/pdf/othe/art2_mb201107en_pp71-84en.pdf;
Tetsuya Inoue, Government Bond Purchase by the ECB, Nomura Research Institute, 27 agosto 2012, http://www.nri.co.jp/english/opinion/lakyara/2012/pdf/lkr2012146.pdf;
Hanspeter K. Scheller, The European Central Bank: History, Role and Functions, European Central Bank, Francoforte sul Meno, 2004, http://www.ecb.int/pub/pdf/other/ecbhistoryrolefunctions2004en.pdf;
Nicolas Véron e Gintram B. Wolff, From Supervision to Resolution: Next Steps on the Road to European Banking Union, Bruegel Policy Contribution, febbraio 2013, http://www.bruegel.org/download/parent/771-from-supervision-to-resolution-next-steps-on-the-road-to-european-banking-union/file/1646-from-supervision-to-resolution-next-steps-on-the-road-to-european-banking-union;
Ignazio Visco, The Exit from the Euro Crisis: Opportunities and Challenges of the Banking Union, Ministero degli Affari Esteri, Roma, 10 settembre 2013, http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2013/IAI_farnesina/Visco_IAI__09092013.pdf;
Charles Wyplosz, ECB’s Outright Monetary Transactions, European Parliament, Directorate General for Internal Policies, ottobre 2012, http://www.europarl.europa.eu/document/activities/cont/201211/20121109ATT55275/20121109ATT55275EN.pdf.
Dal dibattito sulle prerogative della Fed:
Thomas F. Cargill e Gerald P. O’Driscoll, Jr., Measuring Central Bank Independence, Policy Implications, and Federal Reserve Independence, American Economic Association Annual Meetings, San Diego, 4 gennaio 2013, http://www.aeaweb.org/aea/2013conference/program/retrieve.php?pdfid=100.
Garvin Goodfriend, Central Banking in the Credit Turmoil: An Assessment of Federal Reserve Practice, Carnegie Conference on Public Policy, Rochester, N.Y., 16-17 aprile 2010, http://www.carnegie-rochester.rochester.edu/crhome.htm;
id., Congressional Oversight and Federal Reserve Independence, Chief Economists’ Workshop, Bank of England, Londra, 17-19 maggio 2011, http://www.bankofengland.co.uk;
Donald Kohn, Federal Reserve Independence in the Aftermath of the Financial Crisis: Should We Be Worried? American Economic Association Annual Meetings, San Diego, 4 gennaio 2013, http://www.brookings.edu/research/speeches/2013/01/04-fed-reserve-independence-kohn;
Jeffrey M. Lacker, Perspectives on Monetary and Credit Policy, Shadow Open Market Committee Symposium, New York, 20 novembre 2012, http://www.richmondfed.org/press_room/speeches/president_jeff_lacker/2012/pdf/lacker_speech_20121120.pdf;
In chiave comparativa e sul contesto internazionale:
AA.VV., Unconventional Monetary Policies: Recent Experiences and Prospects, International Monetary Fund, Policy Paper, 18 aprile 2013, http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2013/041813a.pdf;
Brett W. Fawley and Christopher J. Neely, Four Stories of Quantitative Easing, Federal Reserve Bank of St. Louis Review, febbraio 2013, http://research.stlouisfed.org/publications/review/13/01/Fawley.pdf;
Garvin Goodfriend, The Elusive Promise of Independent Central Banking, Bank of Japan-Institute for Monetary and Economic Studies Conference, Tokyo, 30-31 maggio 2012, http://www.imes.boj.or.jp/english/index.html;
Daniel Gross, Cinzia Alcidi e Alessandro Giovanni, Central Banks in Times of Crisis: The FED versus the ECB, European Parliament, Directorate General for Internal Policies, giugno 2012, http://www.europarl.europa.eu/document/activities/cont/201207/20120702ATT48168/20120702ATT48168EN.pdf;
Francesco Papadia, Central Bank Cooperation during the Great Recession, Bruegel Policy Contribution, giugno 2013, http://www.bruegel.org/download/parent/782-central-bank-cooperation-during-the-great-recession/file/1668-central-bank-cooperation-during-the-great-recession.
La Fed in prospettiva storica:
Sarah Binder e Mark Spindel, Monetary Politics: Origins of the Federal Reserve, «Studies in American Political Development» vol. 27, aprile 2013, pp. 1-13, http://themonkeycage.org/wp-content/uploads/2013/06/SAPD-April-2013.pdf;*
Mark A. Carlson e David C. Wheelock, The Lender of Last Resort: Lessons from the Fed’s First 100 Years, Federal Reserve Bank of St. Louis, Research Division, Working Paper Series, febbraio 2013, http://research.stlouisfed.org/wp/2012/2012-056.pdf;
Robert L. Hetzel e Ralph F. Leach, The Treasury-Fed Accord: A New Narrative Account, «Federal Reserve Bank of Richmond Economic Quarterly», vol. 87, inverno 2001, pp. 33-55, https://www.richmondfed.org/publications/research/economic_quarterly/2001/winter/pdf/hetzel.pdf;
Allan H. Meltzer, Origins of the Great Inflation, «Federal Reserve Bank of St. Louis Review», vol. 87, marzo 2005, pp. 145-175, http://research.stlouisfed.org/publications/review/05/03/part2/Meltzer.pdf;
Aaron Steelman, The Federal Reserve’s “Dual Mandate”: The Evolution of an Idea, The Federal Reserve Bank of Richmond, Economic Brief, dicembre 2011, http://www.richmondfed.org/publications/research/economic_brief/2011/pdf/eb_11-12.pdf;
David C. Wheelock, Lessons Learned? Comparing the Federal Reserve’s Responses to the Crises of 1929-1933 and 2007-2009, «Federal Reserve Bank of St. Louis Review», vol. 92, marzo 2010, pp. 89-107, http://research.stlouisfed.org/publications/review/10/03/Wheelock.pdf.
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1. L’autore si è laureato in lettere presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ha conseguito un master in storia americana presso il College of William and Mary di Williamsburg, Virginia, e ha frequentato un corso di Ph.D., anch’esso in storia americana, presso la University of Maryland, College Park. L’autore ringrazia, per i preziosi consigli tecnici e la squisita disponibilità, Francesco Papadia, già Direttore generale per le operazioni di mercato della Bce dal 1998 al 2012, tra l’altro coautore con Carlo Santini de La Banca centrale europea. L’istituzione che governa l’Euro, Bologna, Il Mulino, 2012. Va da sé che la responsabilità delle opinioni qui espresse e degli eventuali errori od omissioni è soltanto del sottoscritto.
2. Si dà per scontata una certa familiarità del lettore con il sistema federale americano, di cui ci preme rimarcare i motivi di interesse per quanti lavorano al processo d’integrazione europea. Gli Stati Uniti rappresentano infatti l’unica federazione di stati paragonabile, per complessità ed estensione geografica, all’Unione Europea. La storia più che bicentenaria degli Stati Uniti offre inoltre una quantità di spunti d’indubbio rilievo. Per approfondimenti al riguardo, mi permetto di rimandare a due miei precedenti interventi pubblicati on-line: Crisi economica e Stati Uniti d’Europa: una riflessione sul modello americano, “Eurostudium3w” n. 22 (gennaio-marzo 2012), pp. 40-54, http://www.eurostudium.uniroma1.it/rivista/monografie/Mazzei.pdf; I veri elettori di Obama: una riflessione sull’Europa da farsi, alla luce dell’esperienza storica degli Stati Uniti d’America, “Eurostudium3w” n. 10 (gennaio-marzo 2009), pp. 17-30, http://www.eurostudium.uniroma1.it/rivista/studi ricerche/numero 10/I_veri_elettori_di_Obama_Giacomo_Mazzei.pdf.
3. Si noti che i confini dei distretti della Fed non coincidono con quelli degli stati dell’Unione. Ad esempio, la Federal Reserve Bank of New York ha giurisdizione sullo stato di New York e su parte di Connecticut, New Jersey e Pennsylvania.
4. Il mercato secondario è quello al cui interno circolano i titoli pubblici di vecchia emissione. La Fed non può acquistarne sul mercato primario, cioè direttamente dal governo federale.
5. Tra l’altro, una massiccia opera di risanamento con fondi federali richiederebbe un intervento legislativo sulle normative vigenti in materia di bancarotta, la cui fattibilità sul piano politico non è affatto scontata. Del resto, un altro precedente – che però risale agli anni Quaranta dell’Ottocento, quindi prima della fondazione della Fed, quando a fallire furono ben otto dei ventisei stati che allora componevano l’Unione e il governo federale non fece alcunché al riguardo – conferma le difficoltà insite in tali eccezionali circostanze. Su questi eventi e sul precedente dell’Arkansas, si veda il mio già citato Crisi economica e Stati Uniti d’Europa, pp. 48-50.
6. Un membro del direttorio subentrato a un altro prima della scadenza regolare del mandato può essere a sua volta riconfermato in carica per ulteriori quattordici anni. Il mandato quadriennale del presidente della Fed è rinnovabile per un numero teoricamente indefinito di volte. Nella pratica, i presidenti della Fed sono restati in carica fino a un massimo di vent’anni; fu questo il caso di William Martin, presidente dal 1951 al 1970, e di Alan Greenspan, in carica dal 1987 al 2006. Ben Bernanke, successore di Greenspan e attuale presidente, con ogni probabilità lascerà il timone della banca al termine del suo secondo mandato, nel 2014.
7. Notiamo di passaggio come il disegno dei distretti territoriali della Fed, approntato nel 1914 da una commissione incaricata dal Congresso, rifletta ancora gli assetti di potere nella finanza americana e il profilo demografico degli Stati Uniti al momento della fondazione della banca. I distretti furono collocati in corrispondenza dei maggiori centri finanziari, concentrati nel nordest in maniera ancor più accentuata di oggi, e con un occhio al resto del paese, compresi gli stati dell’ovest, di più recente formazione, meno popolati, ma in costante crescita. È però alquanto singolare che, nonostante i profondi mutamenti nella geografia economica che hanno accompagnato un secolo di sviluppo, il disegno originario sia rimasto lo stesso. È il caso di sottolineare, inoltre, che l’equilibrio tra sovranità popolare e rappresentanza degli stati alla base del federalismo americano, già rimodulato per far posto a dodici distretti sul territorio di cinquanta stati diversi tra loro per economia e demografia, fu decisamente piegato, almeno in un caso, per soddisfare esigenze di natura eminentemente pratica. Due delle dodici filiali della Fed, la Federal Reserve Bank of St. Louis e la Federal Reserve Bank of Kansas City, si trovano infatti nello stesso stato, il Missouri, di cui all’epoca costituivano i maggiori centri finanziari, l’uno rivolto ad est, l’altro ad ovest. Anche di questi aspetti peculiari e in parte anacronistici del sistema americano occorre tenere conto, specialmente quando lo si prende a modello.
8. Dopo un primo aumento del tasso ufficiale di sconto nel 1928, parzialmente responsabile del crack borsistico dell’anno seguente, la Fed ne attuò un secondo nel 1931, per contrastare la svalutazione del dollaro, deprimendo ulteriormente l’economia americana, peraltro senza sortire risultati di rilievo sul fronte valutario, in virtù delle costrizioni imposte dal Gold Standard, che da lì a poco sarebbe stato comunque sospeso negli Stati Uniti, ma anche a causa del ridotto volume di acquisti di titoli del Tesoro da parte della banca stessa. La Fed, inoltre, fece ben poco per arginare l’ondata di fallimenti bancari che si verificò negli anni immediatamente successivi al crack. A questi errori di valutazione ed esitazioni fecero da sfondo le tensioni tra il direttorio e le filiali della banca, dapprima divisi sulla linea da tenere rispetto alla speculazione finanziaria, poi sul ruolo da esercitare nei confronti dei privati e del governo federale.
9. Ma l’organigramma del Fomc nella sua forma attuale, compreso il ruolo di prominenza tra le filiali riservato alla Federal Reserve Bank of New York, fu definito da un emendamento del 1942 al Banking Act del 1935.
10. In base al Federal Reserve Act, nella versione originale del 1913, il Segretario del Tesoro e il cosiddetto Comptroller of the Currency (quest’ultimo a capo di una delle agenzie federali per la supervisione del sistema bancario americano) erano membri ex officio del direttorio della Fed, essendone rispettivamente presidente e vicepresidente, ma prendendo parte solo alle decisioni più importanti. Un responsabile esecutivo era scelto a rotazione tra gli altri cinque membri. L’attuale organigramma del direttorio fu definito dal Banking Act del 1935.
11. Al Federal Reserve Reform Act del 1977 si deve l’attuale definizione del mandato della Fed: «di promuovere efficacemente gli obiettivi di massima occupazione, la stabilità dei prezzi e moderati tassi d’interesse a lungo termine». A questo proposito, vale la pena di notare come certuni lo definiscano un “mandato duale” – poiché i tassi d’interesse a lungo termine rimangono bassi solo in un contesto macroeconomico stabile, quindi in assenza di alti tassi d’inflazione, il secondo e il terzo obiettivo di tale sono di fatto coincidenti. Si noti, inoltre, che originariamente, cioè in base al Federal Reserve Act del 1913, le responsabilità della Fed comprendevano il conio della moneta, la determinazione del tasso di sconto ufficiale e la supervisione del sistema bancario nazionale.
12. Certamente non trascurabile in quelle difficili circostanze è stato il ruolo di leadership svolto dal presidente della Fed, Bernanke, economista di fama, tra i massimi studiosi della crisi del sistema bancario americano durante la Grande Depressione.
13. Ma è già prevista una graduale riduzione di questa terza manovra ed è presumibile una sua conclusione nel corso dei prossimi mesi.
14. Un’altra notazione di carattere storico: il singolare appellativo di Operation Twist è stato ripreso da un’iniziativa del 1961, l’ultima volta che la Fed ricorse a una simile operazione di sterilizzazione nell’acquisto di ingenti quantità di titoli del Tesoro a lunga scadenza.
15. Si noti per inciso che l’Italia è stata al centro degli interventi effettivamente praticati, o anche solo annunciati dalla Banca centrale europea negli ultimi anni. Quasi la metà dei titoli pubblici acquistati dalla Bce fino al marzo 2012, quando il Securities Market Program è stato di fatto sospeso, sono obbligazioni italiane. Assieme a quella spagnola, la crisi in Italia ha inoltre fatto da sfondo all’ormai storica dichiarazione sull’irreversibilità dell’euro da parte dell’attuale presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nel luglio 2012, a cui è poi seguito, nel settembre dello stesso anno, il lancio delle Outright Monetary Transactions, fortemente volute dallo stesso Draghi anche per rassicurare i mercati sulla tenuta dei conti pubblici italiani. Pesanti critiche si erano infatti levate sulla persistente paralisi delle riforme economiche nel nostro paese, nonostante il precedente acquisto di titoli da parte della Bce attraverso il Securities Market Program. L’utilizzo delle Outright Monetary Transactions, come si è appena detto, darebbe maggiori garanzie in tal senso.
16. L’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce, anche di quelli a breve scadenza, e comunque sempre rigorosamente sul mercato secondario, è stato oggetto di un acceso dibattito, perché, come si è detto, i trattati vietano alla Banca centrale europea di finanziare il debito degli stati membri dell’eurozona. Per questo motivo, le Outright Monetary Transactions sono attualmente all’esame della Corte costituzionale tedesca, che però si è già espressa in favore del Securities Market Program. I fautori di questi programmi sostengono che trattasi in realtà di misure standard di politica monetaria, nel caso specifico le uniche, dato il virtuale azzeramento del tasso ufficiale di sconto anche nell’eurozona, in grado di intervenire efficacemente sui tassi nelle aree calde della crisi. Quanto alla tipologia dei titoli pubblici trattati dalla Bce, è stato lo stesso presidente della Bce, Draghi, ad affermare, al momento del lancio delle Outright Monetary Transactions, che l’acquisto di titoli a breve in particolare non costituisce una violazione dei trattati.
17. Ci preme osservare che, con tale affermazione, non si vuole idealizzare il sistema americano, che non di rado, e soprattutto negli ultimi anni, ha patito il conflitto latente che esiste negli Stati Uniti tra le diverse branche del governo federale. È tuttavia innegabile che, da questo punto di vista, l’Unione Europea si trova di fronte a problemi di portata ancor maggiore. Sul conflitto istituzionale nel contesto statunitense, rimando nuovamente il lettore al mio precedente articolo, Crisi economica e Stati Uniti d’Europa, pp. 46-47.
18. Single Supervisory Mechanism e Single Resolution Mechanism sono due dei tre pilastri su cui si fonda il progetto di unione bancaria europea. Il terzo è costituito da uno schema comune europeo di garanzia dei depositi, che è già in cantiere ma la cui urgenza è minore, soprattutto se gli altri due entreranno presto in funzione, come previsto.
19. Per dovere di completezza, notiamo come il fondo salva stati, al contrario della Bce, operi nel mercato primario dei titoli pubblici; in altre parole, esso finanzia direttamente il debito degli stati che ne fanno uso.
20. In effetti, non si è ancora formato un vero e proprio consenso sui soggetti istituzionali destinati a decidere nello specifico quali operazioni di ricapitalizzazione intraprendere.
21. Come già osservato a proposito della Fed, e come riportato in seguito, nello schema di confronto con la Bce, il mandato di entrambe le banche centrali ha in comune un ulteriore obiettivo, quello di garantire moderati tassi d’interesse a lungo termine.
22. La rilevanza di quest’ultimo dettaglio è del resto confermata da una recentissima presa di posizione da parte del presidente della Bce, che si è dichiarato a favore della pubblicazione dei verbali del consiglio direttivo della banca. Draghi ha inoltre informato la stampa che presto il comitato esecutivo sottoporrà un proposta in tal senso all’attenzione del consiglio direttivo.
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*Il link a questo articolo, altrimenti disponibile solo con sottoscrizione alla rivista «Studies in American Political Development», è stato reso accessibile da uno degli autori. Lo si trova all’interno del testo di Sarah Binder, If You Give a State A Federal Reserve Bank (or two…), pubblicato il 19 giugno 2013 sul blog «The Monkey Cage», http://themonkeycage.org/2013/06/19/if-you-give-a-state-a-federal-reserve-bank-or-two.